Addentrandomi nella lettura del saggio di Tolstoj Che cos’è l’Arte?, dopo poche righe mi “scontro” con una frase che stuzzica il mio pensiero:
“[…] e anche quei lavoratori tacevano sottomessi.”
Si avvia così una riflessione parallela, che mette in relazione il concetto di Bellezza (a cui l’Arte è indubbiamente legata) sommata alla fatica necessaria per produrla.
Quando scrivo fatica, mi riferisco a quella fisica, che fa sudare e tremare i lavoratori, i quali sacrificano la vita, il tempo e la loro dignità per fabbricare Bellezza (che sia una capo d’abbigliamento, o un prodotto di alta desiderabilità tecnologica, etc), senza che gli “altri” siano sempre consapevoli della sofferenza che essi patiscono.
IL SISTEMA FA FATICA
Tolstoj scrive la succitata frase poiché un giorno, mentre veniva accompagnato alla prove generali di una rappresentazione operistica dalla dubbia qualità, resta sconvolto nel vedere il volto grigio ed emaciato, di un operaio mentre rimprovera un suo collega dietro le quinte.
Il disagio del povero Lev continua ancora quando, seduto in platea osserva il maestro di musica vibrare violenti colpi di bacchetta nell’aria e ingiuriare il povero malcapitato di turno con parole “rabbiose”. Una situazione che provoca allo scrittore russo un forte disgusto, rendendolo consapevole che nel sistema di produzione dell’Arte, qualcosa non funziona come dovrebbe.
LA FATICA DEL PASSATO
Offrire “in olocausto le fatiche di milioni di uomini e, ciò che più conta, l’amore degli uomini” in nome dell’arte, per Tolstoj non ha senso, né può essere tollerato.
Quegli uomini, dovrebbero essere parte integrante del Sistema Arte e non delle vittime o peggio ancora, degli schiavi: l’Arte dovrebbe alimentare e amplificare la percezione della Bellezza anche nei riguardi di chi la costruisce.
Altrimenti succede come per la costruzione delle antiche piramidi egizie: la loro bellezza e il loro fascino sono innegabili, ma tutti sanno o possono almeno immaginare l’ingente sacrificio umano speso per compiacere l’ego dei (pre)potenti (i faraoni). Di sicuro chi le ha costruite materialmente non avrà conservato bei ricordi.
Storie passate, che con il presente non hanno più nulla a che vedere. O forse no?
LA FATICA DEL PRESENTE
Oggi viviamo in un epoca in cui la Bellezza, per fortuna, è a portata di mano con costi relativamente accessibili. Inoltre è anche una Bellezza pratica che riduce tempi e fatica. Oggigiorno la vita sta assumendo i connotati di un’opera d’arte, poiché il processo tecnologico sta avverando quel contesto sociale avveniristico e meraviglioso, che in passato era possibile edificare solo nei set cinematografici.
Quindi il miracolo è compiuto, la democratizzazione della cultura e della tecnologia è avviata: manca solo la pace nel mondo per raggiungere la perfezione. Ma di tanto in tanto emergono delle storie [brutali], che allontanano l’idea di filantropia pervadente i nostri animi. Non perché siamo delle cattive persone: semplicemente non siamo consapevoli della cattiveria latente che alimentiamo.
LA STORIA CHE SI FATICA A RACCONTARE
Dietro l’acquisto di un prodotto esteticamente bello e dal costo [non sempre] contenuto, come ad esempio un capo d’abbigliamento, potrebbe celarsi una storia di cui non siamo pienamente consapevoli.
Magari quel capo d’abbigliamento è stato confezionato da un uomo, il quale ha viaggiato migliaia e migliaia di chilometri, in condizioni al limite della sopportabilità umana, per ritrovarsi a “lavorare” una quantità interminabile di ore al giorno, in un altro paese.
Chiuso in una fabbrica che è diventata praticamente la sua casa, dove mangia, beve e dorme (dividendo il “letto” a turno con altri suoi “colleghi”). Confinato tra pareti di cartone, lui non ha più percezione dello spazio esterno, del sapore dell’aria, del piacevole “stress” muscolare che le gambe subiscono dopo una lunga passeggiata. Non riconosce più la Bellezza.
Anzi lui se ne deve stare bello nascosto, perché è un irregolare, cioè un clandestino senza identità. “Coccolato” da una compagnia di materiali che per composizione chimica s’infiammano più della paglia, c’è il rischio che quell’irregolare possa lasciarci le penne se qualcosa prende fuoco. Inoltre non manca la beffa: nessuno che riconosca o reclami quel corpo arso, data la sua natura irregolare.
CHE FATICA LE CONCLUSIONI
Purtroppo dopo i fatti di Prato abbiamo visto che storie del genere esistono e non sono del tutto nuove nel mondo. Ancora tanti sono i lavoratori taciuti e sottomessi, che producono materia in nome della bellezza, della tecnologia e dell’avvenirismo.
Magari lo stesso portatile dal quale sto scrivendo questo post ha una storia altrettanto drammatica da raccontare e io stesso non ne sono consapevole.
Forse è arrivato il momento di essere pienamente consapevoli di queste realtà e mettere in moto la coscienza, la criticità e la cognizione di causa. Non viviamo più al tempo delle piramidi, non abbiamo bisogno di riscrivere i diritti dell’uomo: quelli ci sono già.
Bisogna che le Istituzioni e la Società applichino le guide ereditate dal passato.
Mentre leggevo questo post, e iniziavo a inquadrare l’argomento, mi è venuta in mente una delle tante storie che ho avuto il “piacere” di conoscere di prostituzione e tratta. In modo molto simile la stessa prostituzione è parte della stessa logica… La “Bellezza” economica, per tutti…
Ciao Marco.
Sì, avere le cose [belle] a portata di mano, tende a farci perdere di vista, il carico di sacrificio che comporta.