Ancora oggi la pittura di Jackson Pollock è molto discussa e non mette sempre tutti d’accordo (nemmeno gli addetti ai lavori). C’è chi lo ama e c’è chi lo detesta. Non bisogna essere degli studiosi dell’arte per riconoscere le sue tele: girando in rete o sfogliando qualche rivista, è facile imbattersi nei suoi famosi dripping. Inoltre, alcune sue opere sono state ospitate in una recente mostra a Milano.
Le sue selve cromatiche, fatte di segni che si fondono e si confondono tra loro [e che hanno dato vita all’Action Paintng], sembrano però indecifrabili.
Eppure le sue opere si possono leggere come dei racconti visivi, che si narrano ponendo le domande giuste. Un sistema che fa somigliare Pollock più ad un cantastorie, che ad un pittore. Infatti la sua comunicazione visiva si costituisce in prevalenza da gesti: un sistema non alieno al nostro modo di esprimerci.
IL GIUSTO APPROCCIO ALLA LETTURA
Alzi la mano chi, appena si è trovato “un” Pollock sotto gli occhi, non si è chiesto:
«E che significa?»
La maggior parte delle volte, la risposta è:
«Niente!»
Anch’io inizialmente tendevo ad approcciarmi in questo modo al pittore statunitense. Ma con il tempo mi sono reso conto che quel “niente” derivava dalla frustrazione di non riconoscere nessuna forma comprensibile all’interno della composizione pittorica: di conseguenza, esercitavo un sistematico ripudio nei riguardi della produzione artistica di Pollock (e anche di altri artisti che lavorano in “astratto”).
Ma se ci fermassimo a riflettere sulla funzione dell’Arte in quanto forma di comunicazione creativa, la natura della domanda potrebbe cambiare sensibilmente. Si converte la formula del “E che significa?” tramutandola in:
«Cosa racconta?»
Questa domanda tende ad alzare il livello della curiosità ed abbassare il tono del pregiudizio, poiché si risponde:
«Una storia!»
Anche se la risposta non soddisfa completamente le aspettative, si posa il primo tassello che stimola la voglia di approfondimento. E dato che siamo tipi curiosi (vero che lo siamo?), ci spingiamo volentieri a saperne di più.
SI LEGGE A GESTI
Facciamo un’altra conversione trasformando il “Cosa racconta?” in:
«Come lo racconta?»
Qui la risposta si fa interessante perché entriamo nel vivo della tecnica del pittore americano: il gesto che gli permette di spargere il colore su tutta la superficie della tela.
Per dipingere, Pollock fa affidamento alla gestualità di tutto il suo corpo. Un po’ come facciamo noi quando conversiamo con altre persone e gesticoliamo. In questo modo si “accompagna” il messaggio da trasmettere con i movimenti delle mani e del corpo.
In fase di gesticolazione, produciamo dei vuoti d’aria che lasciano spazio all’interpretazione, poiché si caricano di significato. Pollock compie la medesima operazione, anzi fa di più: prende quei vuoti d’aria, li riempie di colore che registra sulla tela, produce arte e racconta storie.
RACCONTI INGRANDITI
Chiarito dunque che il gesto pittorico di Pollock è il mezzo [e non il fine] di cui si avvale per narrare le sue opere, resta da capire cosa si può leggere nei suoi “testi visuali”.
Se volessimo paragonare Pollock ad uno scrittore, potremmo dire che il suo genere letterario è di tipo avventuroso/fantastico, specializzato in viaggi all’interno della materia pittorica.
Infatti nelle sue tele lui ingigantisce gli elementi cromatici, tanto da entrarci dentro. Sembra una cosa complessa, ma in verità lo facciamo anche noi quando vogliamo osservare una foto nei dettagli: ingrandiamo l’immagine al computer fino a rivelarne i pixel.
Come mostra l’esempio, ne esce fuori un mosaico cromatico, che a me fa venir voglia di spingersi sempre più a fondo per scoprire cosa c’è oltre quei “frammenti pixellosi”. Ma la rotellina del mouse che permette di ingrandire, gira a vuoto e quindi dobbiamo accontentarci dell’immagine che lo schermo proietta.
Ai tempi di Pollock la rotellina del mouse (e il PC) non esisteva, quindi è stato lui stesso ad immergersi nella materia pittorica, facendo leva sulla gestualità: i vortici, le scie, i frammenti di colore che si vedono, sono azioni di forza che lui compie per farsi spazio tra gli elementi e penetrare sempre più a fondo.
UN VIAGGIO CHE NON SI CONCLUDE
Le storie di Pollock quindi narrano le vicende di una materia prigioniera di se stessa e che vuole rivelarsi: essa è viva, pulsante e si muove, anche quando ci appare statica. Il pittore statunitense si fa largo tra gli elementi, li dilania e percuote lo strato pittorico, alla ricerca di qualcosa che si trova molto (ma molto) in profondità.
Ciò gli consente di percorrere un viaggio infinito verso l’anima della pittura, che si raggrinzisce, gocciola, si sovrappone producendo effetti visibili e anche leggibili agli occhi di tutti.
Questi sono i racconti (visivi) di Jackson Pollock.
Una vera e propria lezione di arte fatta con parole semplici e chiare.
Da oggi posso dire che guarderò con occhi diversi le opere di Pollock, grazie PaGiuse;-)
Ciao Luca!
Sono contento che abbia gradito il post e ti ringrazio per essere passato di qui! 😀
Viva Pollock, allora!