Il pifferaio di Manet è il quadro che in questi giorni fa da “cornice” alla locandina della mostra Manet e la Parigi moderna (Milano, Palazzo Reale, 8 Marzo – 12 Luglio). È considerato uno dei dipinti più importanti e rivoluzionari della storia dell’arte, nonostante il soggetto e l’ambientazione siano del tutto anonimi e privi di appeal rispetto a opere d’arte decisamente più accattivanti.
Anonimo per gli osservatori
Il pifferaio, Manet. Fonte Wikipedia.
Come fa questo ragazzotto a trovarsi in cima alla lista dei capolavori dell’arte?
Se non fosse sotto i riflettori, Il pifferaio di Manet sarebbe uno di quei quadri dove se ci passi davanti neanche ricordi di averlo visto. Risulta difficile trovare un particolare pittorico che si fissi nella mente dell’osservatore. Anzi sembra che questo quadro ce la metta tutta per farsi dimenticare.
Già il titolo estremamente generico, Il pifferaio, dice poco. E la situazione non migliora se osserviamo il quadro da vicino. Vediamo un bambino vestito in tenuta militare che suona il piffero: ha lo sguardo confuso, rivolto in un punto indefinito dello spazio a cercare qualcosa o qualcuno, chissà; il berretto che si inforca nelle orecchie a sventola e i pantaloni cascanti gli danno perfino un’aria da sfigato. Manca addirittura lo sfondo, che Manet lascia neutro.
Improbabile che a prima vista quest’opera catturi l’attenzione di chi nell’arte cerca immagini “convincenti”; e per convincenti intendo dire proprio belle da vedere al primo colpo.
Troppo anonimo per la giuria
Nemmeno la giuria che lo valutò nel 1866 per l’esposizione al Salon di Parigi si fece convincere da Il pifferaio. L’opera fu bocciata perché ritenuta oltraggiosa sia dal punto di vista morale sia dal punto di vista tecnico.
Ma cosa ci può essere di oltraggioso nel volto di quello sconosciuto pifferaio? Cosa è passato nella mente di Manet, convinto che quest’opera lo consacrasse al Salon e che invece gli ha creato ulteriori inimicizie?
A far infuriare la giuria fu proprio l’aura di anonimato che pervadeva il dipinto.
Già, perché quel pifferaio rappresentava simbolicamente un qualsiasi orfano parigino di metà Ottocento che prestava servizio presso la guardia imperiale.
Questo voleva dire che la capitale più importante del mondo mandava a morire i suoi figli più piccoli in prima linea sapendo che nessuno avrebbe pianto per la loro scomparsa. Esporre quel quadro a una manifestazione internazionale come quella del Salon metteva la Francia in forte imbarazzo agli occhi del mondo.
Ma pur volendo bypassare l’aspetto morale, la giuria non poté prescindere dall’aspetto tecnico dell’opera poiché la reputava totalmente sballata per i canoni dell’epoca.
Per intenderci: immaginate che a un concorso di fotografia un partecipante concorra con un lavoro di ricamo su tessuto. Sarebbe una cosa totalmente fuori contesto.
E fu ciò che accadde con Il pifferaio: era fuori da ogni schema pittorico dell’epoca. Mentre gli esaminatori prediligevano opere a carattere storico/mitologico, dai colori sfumati con le gradazioni di chiaroscuro ben visibili, Manet faceva totalmente l’opposto. Usava soggetti contemporanei, faceva largo uso della linea di contorno (considerata un sacrilegio) e dipingeva in maniera piatta; nel Pifferaio il passaggio da chiaro a scuro avviene in maniera netta, senza sfumature: i colori sono semplicemente accostati tra loro. Uno stupro per gli occhi della giuria; una vera e propria rivoluzione nel mondo dell’arte, tant’è che Manet venne considerato dalle nuove generazioni uno dei promotori dell’arte contemporanea. Era diventato un riferimento per l’innovazione.
Morale della storia: un rivoluzionario per caso
La morale di questa storia è: quando produci il meglio di te stesso sei destinato a fare cose grandi, anche se chi ti sta vicino non se ne accorge subito. È inevitabile.
Manet, suo malgrado, ha rivoluzionato la pittura. Lui ambiva “solamente” a essere ammesso al Salon ufficiale; non era sua intenzione cambiare le sorti della Storia dell’Arte. Di conseguenza tutti i suoi sforzi creativi erano tesi a produrre delle opere che lasciassero il segno; eppure la sua pittura veniva considerata insolente. A pensarci bene, non poteva essere altrimenti.
Manet aveva il dono della sintesi: con il suo Pifferaio ha raccontato in pochissime pennellate la società a lui contemporanea che, da una parte declama il progresso attraverso i saloni di pittura e le esposizioni internazionali, i Caffé e i Cabaret; dall’altra annovera nell’ordinario delle vere e proprie ingiustizie sociali, permettendo a degli orfani di morire in prima linea.
Il Pifferaio dunque non è più un volto anonimo e insignificante di un ragazzotto: è l’identità di una società ambigua che cerca di nascondere i panni sporchi. E Manet ha esposto tutto alla luce del sole con una pittura semplice, veloce e genuina: nuova.
Ecco perché quel quadro è così speciale e merita di essere contemplato per quello che è: un capolavoro della pittura e della storia che [ora] resta nella mente nel cuore di chi lo guarda.
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