Chi è il più grande scultore del Rinascimento?
Michelangelo; non vi è dubbio.
E chi è il più grande scultore del Barocco, il periodo che succede al Rinascimento?
Bernini; anche qui non vi è dubbio.
Tra la nascita di questi due grandi artisti e scultori, c’è un intervallo di più di cento anni. Il che vorrebbe dire che in questo spazio temporale la scultura è stata inghiottita nel vuoto…
Ma certo che no!
Se è vero che loro sono stati le teste di ponte di due periodi storici che hanno rivoluzionato la storia del’arte, è altrettanto vero che a partire dalla morte di Michelangelo fino alla nascita di Bernini, si sono avvicendati altri eccellenti scultori; di sicuro avrete sentito parlare di artisti come Benvenuto Cellini e Giambologna. Tra questi due, il più virtuoso è stato sicuramente il Giambologna, l’unico tra l’altro a non essere italiano (il suo vero nome è Jean de Boulogne, di origini francesi). Ed è proprio su questo artista “forestiero” che ho concentrato la mia attenzione, perché sono rimasto colpito dall’atteggiamento con cui si è approcciato alla scultura.
Combattivo, se non addirittura agguerrito: dopo aver visto le opere di Michelangelo, Giambologna aveva deciso di emularlo, anzi addirittura di superarlo, con il chiaro obiettivo di artigliare il primato di scultore di tutti i tempi. E c’era quasi riuscito, tant’è che per un certo lasso di tempo si era accaparrato tutte le committenze fiorentine. Sua è infatti la scultura che possiamo ammirare nel museo a cielo aperto della Loggia dei Lanzi a Firenze: il Ratto delle Sabine. Un’opera di notevoli dimensioni che ha quasi anticipato l’epoca Barocca, poiché Giambologna ha ricreato un effetto nuovo, che non s’era mai visto nella scultura: la morbidezza della carne.
Questo effetto che io chiamo “morbidezza di cuscino” verrà ripreso qualche tempo dopo proprio da Bernini.
Ma allora perché, nonostante Gimbologna avesse anticipato i tempi, Bernini risulta essere il vero innovatore dell’arte e maggiore rappresentante del periodo Barocco?
Come ho scritto nel titolo di questo post, Giambologna c’era quasi riuscito, ma qualcosa è andato storto.
Cos’è che è andato storto?
In precedenza ho scritto che Giambologna ha quasi anticipato le tematiche e le tecniche su cui si fondava il periodo Barocco, ossia l’effetto “mosso” e la morbidezza delle superfici. Lo si vede bene nella scultura del “Ratto delle Sabine”: il movimento è così palpabile che le figure sembrano schizzare via dal basamento. In realtà, per quanto stupenda che sia, quest’opera mette in evidenza anche i limiti che imbrigliavano Giambologna. L’opera infatti è ricavata da un unico blocco di marmo: si dice infatti che lui volesse dimostrare ai suoi denigratori, che la sua tecnica di scultura era pari a quella di Michelangelo che, sappiamo, lavorava per sottrazione della pietra da un unico blocco di marmo.
In poche parole, nella sua mente Giambologna aveva concepito un’opera d’arte del tutto nuova, ma nella pratica, per realizzarla si è servito di una tecnica vecchia e inadeguata allo scopo, per dimostrare a tutti quanto fosse bravo.
E non è un caso che il “Ratto delle Sabine” sia anche un’opera “difficile” da osservare, perché per afferrarne il senso generale bisogna girarle più e più volte intorno.
Se invece guardiamo il “Ratto di Proserpina” di Bernini, notiamo che anche qui ci sono tutte le caratteristiche del Barocco: l’effetto “mosso” e la morbidezza delle superfici; ma c’è di più. Anche se l’opera è fatta per essere girata in tondo è pensata per avere un punto di vista privilegiato, quello frontale, in modo che l’osservatore abbia una prima lettura chiara, netta e precisa del gruppo scultoreo.
Cos’è che ha fatto Bernini in più, rispetto a Giambologna?
Anche Bernini guardava con adorazione Michelangelo eppure nulla gli ha vietato di superarne gli schemi e la tecnica: le sue sculture erano fatte per addizione, cioè erano composte da più “pezzi” provenienti da più blocchi di marmo, di modo che lo scultore avesse il pieno controllo della realizzazione della sua opera. Inoltre Bernini ha avuto l’abilità e la genialità di imitare gli effetti cromatici e luminosi della pittura nella lavorazione del marmo.
E, spiace dirlo, Giambologna, a questa cosa di fondere le arti tra loro, non c’aveva pensato, né tanto meno di usare più blocchi di marmo, poiché concepiva la scultura come un’arte vituosa fine a se stessa.
Giambologna, oggi
Nei libri di Storia dell’Arte, Giambologna è considerato uno scultore del periodo Manierista, ossia una fase artistica che raggruppa tutti quegli artisti che hanno pitturato e scolpito alla maniera di Michelangelo subito dopo la sua morte. E, benché oggi il Manierismo abbia conquistato un’accezione positiva, sono convinto che se chiedessimo al buon Giambologna un parere su questa classificazione, non ne sarebbe tanto entusiasta, visto che lui ambiva a diventare lo scultore più famoso di tutti i tempi.
Perché diciamoci la verità, uno che sgobba dalla mattina alla sera per diventare un artista o avere successo in qualsiasi altro lavoro, lo fa anche per conquistarsi la gloria e l’immortalità, oltre che il lauto compenso. Ma l’esempio di Giambologna serve proprio a farci capire che oltre al talento, oltre all’impegno, oltre alla bravura, bisogna essere [veramente!] intraprendenti ed essere [veramente!] lungimiranti: non si può innovare ragionando con i vecchi schemi; bisogna avere il coraggio di superarli, stravolgerli e fare un qualcosa di [veramente!] nuovo, così come fece Bernini nel Barocco.
Questo fa la differenza tra chi ci riesce e chi c’era quasi riuscito.