Diario di Brera: la statua di Tommaso Grossi e quella storia al cimitero di Milano

Qualche settimana fa, sono tornato alla Pinacoteca di Brera, per raccogliere un po’ di informazioni su alcune ricerche che sto facendo, soffermandomi su particolari che ho ignorato durante la mia prima visita al museo. Infatti, appena sono entrato nel cortile d’Onore della Pinacoteca ho cercato di non farmi “distrarre” dalla bellissima statua in bronzo realizzata da Canova, Napoleone come Marte pacificatore; un’impresa ardua visto che che tende, giustamente, ad attirare tutte le attenzioni su di sé. Ma ho tenuto duro e mi sono concentrato anche su altri dettagli che tanto raccontano di Brera quanto di Milano.
Ad esempio, continuando sempre a fare finta che non esistesse la statua di Napoleone, appena sono entrato nel cortile, voltandomi a sinistra ho fatto un po’ di foto alla prima delle sei statue perimetrali del cortile e sulla quale ho fatto un po’ di approfondimenti: mi riferisco alla statua del poeta e scrittore Tommaso Grossi realizzata dallo scultore Vincenzo Vela. Facendo un po’ di ricerche qua e là, apprendo che Tommaso Grossi è stato un grande amico di Alessandro Manzoni (il quale gli ha dedicato anche una citazione all’interno dei “Promessi Sposi”). E se quella statua è lì, ci sono almeno due ragioni: la prima è che Tommaso Grossi ha avuto modo di studiare alla scuola superiore di Brera, quindi ha percorso gli stessi passi proprio lì, dove li sto percorrendo anche io mentre osservo la statua; la seconda ragione è che si è esposto per amor di patria. Già perché lui era uno di quegli scrittori che componeva poemetti satirici in dialetto, milanese ovviamente, mirati a denigrare il potere imperiale.

Monumento a Tommaso Grossi nel cortile d’Onore di Brera. Fonte Wikipedia.

E proprio il primo di questi suoi scritti (inizialmente pubblicato in forma anonima) gli è anche costato qualche giorno di galera e una grana per la sua carriera di notaio: l’opera incriminata è “Prineide”, un poema dialettale, davvero molto breve e gradevole da leggere, che si può trovare scritto per intero su Wikipedia, dove c’è la traduzione in italiano utile per chi, come me, non è proprio avvezzo al dialetto milanese (sono pur sempre un napoletano!).

Cosa racconta la “Prineide” di così osceno al punto da fare rischiare la gattabuia al buon Tommaso Grossi?

In questo poemetto, semplicemente, viene preso in giro l’imperatore d’Austria, con una tecnica semplice quanto astuta: facendo finta di parlare bene di lui!
E per farlo, Tommaso Grossi si avvale di uno… zombie!

Cos’è la “Prineide”?

Per capire di cosa stiamo parlando, è necessario andare alla radice del titolo del poemetto: “Prineide” infatti deriva da Prina, e più precisamente narra la storia di Giuseppe Prina (dopo la sua morte), un importante ministro delle finanze del Regno d’Italia, nominato da Napoleone stesso durante il suo dominio europeo. Prina ebbe il difficile compito di risanare la situazione economica del regno e ci riuscì imponendo una serie di tassazioni, talvolta anche severe; così facendo attirò su di sé una tale impopolarità che gli costò la vita, non appena Napoleone abdicò. Condurre una vita onesta, seria e integerrima non gli valse a nulla. I milanesi videro in lui tutti i mali dell’Italia (probabilmente infiammati da emissari dell’imperatore austroungarico che di lì a poco, con il congresso di Vienna, avrebbe ripreso il controllo del Lombardo-Veneto) e nel giorno del 20 aprile del 1814 ci fu la cosiddetta Battaglia delle Ombrelle, dove un esercito di cittadini armati di ombrelli, diede la caccia al Prina e una volta scovato, fu denudato, defenestrato e infilzato come uno spiedino dalle punte degli ombrelli, conducendolo a una morte atroce, seviziando il corpo per delle ore anche dopo il decesso.

Disegni del linciaggio di Giuseppe Prina.
Fonte Wikipedia.

E ho scoperto anche un’altra cosa: che a Milano si è soliti dire “L’ha faa la finn del Prina” di colui che ha passato un brutto quarto d’ora.

Grossi scrisse la “Prineide” due anni dopo l’omicidio di Giuseppe Prina. All’interno dello scritto, il narratore passeggia per strada e si trova all’ombra del muro del Foppone, il cimitero di Porta Comasina a Milano, e lì dopo uno scoppio fragoroso, appare d’avanti al narratore, facendogli venire un colpo, la sagoma tumefatta del Prina, con i vestiti laceri e gli occhi cavi che grondano sangue.

Un’illustrazione della “Prineide”. Fonte Wikipedia.

Prina, chiede al narratore cosa ne abbia ricavato Milano dalla suo assassinio e lui risponde, prima giustificandosi che non prese parte al linciaggio e poi, quando il Prina incalza per sapere cos’è che ha fatto di buono l’imperatore Francesco per i milanesi, il narratore si limita a dire che è il Re dei Galantuomini, che la moglie è di Milano e che loro (i milanesi) sono incapaci di fare del male a lui, come lui è incapace di fare del bene a loro…
Non voglio rovinarvi il finale del racconto qualora abbiate voglia di leggerlo.

Insomma, in un periodo dove il potere era concentrato nella mani di una sola persona, l’imperatore, possiamo dire che a Tommaso Grossi gli è andata anche di lusso, cavandosela con qualche giorno di prigione e qualche interrogatorio. Perché si sa che la penna ferisce di più della spada.

I rischi del mestiere (di scrittore)

E mentre finisco di scrivere questa parte del diario, penso che tra il cortile e il piano nobile ci sono almeno una quindicina di statue da indagare. Chissà cos’hanno da raccontare, loro.
Nel frattempo posso dire che di Tommaso Grossi, che non conoscevo fino a prima di questa ricerca, mi piace il modo in cui gioca con la lingua dialettale ed è la dimostrazione che per essere incisivi, al punto da edificargli una statua, si possono usare anche poche parole, purché siano raccontate nel modo giusto. E mi ha dimostrato anche che per essere efficaci, qualche rischio bisogna pur correrlo.

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