Caro diario di Brera,
eccoci giunti alla quinta statua perimetrale del cortile d’onore di Brera, la penultima che si vede percorrendo il porticato in senso orario. Fu realizzata per accompagnare l’inaugurazione del monumento di Bonaventura Cavalieri nel 1844, per l’apertura della sesta Riunione degli scienziati italiani e ritrae Pietro Verri, l’uomo passato alla storia per essere stato il primo vero grande illuminista italiano.
«Ehi tu: guarda un po’ cos’è che ho scritto, qui!»
Il monumento scolpito da Innocenzo Fraccaroli, presenta una caratteristica singolare: il modo in cui è distribuito il baricentro della statua. Cioè, osservando attentamente la scultura, si vede che Pietro Verri poggia sui due libri sostenuti dal parapetto alla sua destra. Sembra che la scultura prema sugli strumenti della conoscenza per antonomasia. Aguzzando la vista (o magari, ingrandendo la foto), è possibile leggere i titoli incisi nel marmo sul dorso di entrambi i volumi: La Storia di Milano e Economia Politica; testi che Pietro Verri ha scritto di suo pugno.
Uno sguardo da Leone
L’altra cosa cui non si può fare a meno di notare è il modo in cui Fraccaroli ha scolpito lo sguardo di Pietro: diretto e incisivo che mi ha ricordato molto da vicino quelle magnifiche inquadrature che Sergio Leone registra sulla pellicola durante lo stallo alla messicana nel film “Il buono, il brutto, il cattivo“.
A questo punto, mi viene da pensare che il suo sguardo sia rivolto a una persona ben precisa e, se mi seguite in questa storia, forse capiremo di chi si tratta.
Una storia un po’ fuori dalle righe
Durante le mie ricerche apprendo che Verri è stato filosofo, economista, politico, scrittore, ecc, ma che ha seguito una carriera tutt’altro che lineare. Per diventare il primo illuminista d’Italia, infatti, ha dovuto… inimicarsi il padre. Proprio così!
Il padre era il rampollo della famiglia Verri, le cui origini nobili le aveva costruite nel tempo e che aveva tutta l’intenzione di rafforzarle nel futuro, stabilendo fin da subito le carriere dei discendenti. Per Pietro Verri si era deciso che dovesse intraprendere la carriera di magistrato e diventare uno dei giuristi più potenti di Milano. Tale imposizione non fece altro che provocare il forte disgusto di Pietro nei confronti della giurisprudenza e del modo in cui veniva applicata la legge. Pietro preferiva interessarsi di letteratura, di poesia, di donne e della tutela degli ultimi, tant’è che è stato funzionario dell’ufficio di Protettore dei carcerati, in cui si occupava della difesa dei diritti dei detenuti.
Poi arrivarono i lumi della ragione
Gli echi delle idee illuministe che rimbalzavano in tutta Europa erano un richiamo troppo forte cui la mente fresca di Pietro Verri non seppe resistere. Tuttavia, Pietro non fece mai nulla per distaccarsi completamente dai suoi titoli nobiliari, anche perché proprio grazie a quelli lui riuscì a compiere delle vere e proprie rivoluzioni culturali a Milano che destarono l’attenzione di tanti intellettuali italiani ed europei.
Gli intrecci di trama, di quelli interessanti!
Ora: Pietro che già era circondato dai due fratelli Giovanni e Alessandro con cui condivideva una serie di ideali, poteva vantare delle amicizie davvero niente male, tra cui quella con un altro intellettuale di spicco, Cesare Beccaria su cui non voglio soffermarmi poiché ne scriverò in un altro post.
Quello che ci interessa sapere in questo articolo, è che Pietro Verri accolse Cesare Beccaria nella propria casa e gli fece anche da mentore. Tra i due nacque un’amicizia molto singolare perché si componeva di discussioni particolarmente accese. Non è un caso che L’Accademia dei Pugni fondata da Pietro Verri insieme a tutto il circolo di intellettuali milanesi, prese questo nome da una [molto probabile] scazzottata avvenuta tra i due “amici”.
Poi ci fu la goccia [di Caffè] che fece traboccare il vaso…
Tra le molteplici attività di fervido intellettuale illuminista, Pietro Verri fu anche il direttore del giornale Il Caffè (che si componeva di un foglio, in cui si affrontavano molti argomenti di ordine pratico e di ordine morale che avrebbero dovuto cambiare il mondo). Il nome di “Caffè” uscì fuori dal fatto che la maggior parte dei dibattiti tradotti in articoli, prendevano vita proprio nei caffè, che di lì a poco sarebbero diventati le fucine dei movimenti culturali e artistici di mezza Europa.
E sempre nei caffè Pietro Verri discuteva con Cesare Beccaria sull’insensatezza della pena di morte, sull’inutilità della tortura e sull’intera riforma del sistema giudiziario che doveva essere laico e non doveva confondersi con la religione. Fu proprio dal fermento di queste idee che nacque un testo che sarebbe diventato un vero e proprio best seller in tutta Europa: Dei delitti e delle pene, opera firmata da Cesare Beccaria.
Questo fu motivo della rottura definitiva del rapporto di amicizia tra i due intellettuali (e anche della chiusura di Il Caffè), poiché Pietro Verri si sentì in un qualche modo tradito dal suo amico Cesare: era stato Verri a formulare, promuovere e spronare la scrittura di quel saggio.
La regola n. 1 della narrazione
C’è da dire però che nella scrittura vige una regola d’oro: non è importante cosa racconti, ma come racconti. Lo stile di Cesare Beccaria era fresco, innovativo, libero da certe costruzioni macchinose: in poche parole, il suo era un racconto illuminista, borghese, perfettamente in linea con il suo tempo. Pietro Verri, che pure scrisse di suo pugno dei saggi che ripudiavano la tortura e la pena di morte, era legato a uno stile più ricercato, aristocratico, che tanto diceva delle sue origini.
Tuttavia…
Nonostante la rottura della loro amicizia, Pietro Verri ne ebbe sempre stima e non venne meno nella difesa di Cesare Beccaria, anche quando dopo la pubblicazione Dei delitti e delle pene ricevette tutta una serie di attacchi di origine conservatrice.
E, tornando alla nostra statua di Brera, a quello sguardo inciso nel marmo così fermo e penetrante di cui parlavo a inizio post, sembra sia rivolto proprio a Cesare; a quell’amico lontano, a ricordargli del lavoro svolto insieme e delle fatiche che lui, Pietro, si era accollato per promuovere le nuove idee illuministe.
Ed ecco perché il baricentro del monumento è collocato su quei libri, simbolo di una conoscenza tutta nuova, in divenire; utile a cambiare il mondo e per cui vale la pena sacrificarsi.